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Autostrade per la rinascita

  • Immagine del redattore: Avv. Massimo Cruciat
    Avv. Massimo Cruciat
  • 4 apr 2020
  • Tempo di lettura: 4 min


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La situazione di crisi economica determinata dai (giusti) provvedimenti di blocco adottati per contenere la diffusione del coronavirus è gravissima.

Il blocco si sta rivelando, purtroppo, letale per il sistema economico.

Moriranno una miriade di imprese.

Salterà il 10%, se l'emergenza arriverà a dicembre. Queste sono le previsioni Cerved https://know.cerved.com/news/covid-19-e-sostenibilita-delle-imprese/.


A fronte di questo tragico scenario, il dibattito degli esperti su cosa si concentra?

Su come pizzicare i furbetti, su come distinguere tra insolventi post coronavirus e insolventi ante coronavirus. Su come portare alla luce gli abusi.


In una situazione in cui è coinvolto l’intero sistema economico nazionale, a tutti i livelli, in modo trasversale e generalizzato, dal botteghino sotto casa alla “Fiat”, il primo livello di intervento pubblico a favore delle aziende dovrebbe essere un'iniezione immediata di liquidità. Contemporaneamente si dovrebbe programmare la rimozione del blocco, con gradualità e in sicurezza (test generalizzati e App per geolocalizzare gli infetti, come suggerito dagli scienziati).


Ma per le aziende, purtroppo moltissime, che non ce la faranno con questi primi aiuti? E saranno destinate a fallire nei prossimi mesi?


A mali estremi, rimedi estremi.

Consentire alle imprese in crisi di evitare il fallimento.

Chi è entrato in difficoltà a causa del coronavirus e, dunque, senza colpa, è giusto che venga aiutato dallo Stato, innanzitutto sterilizzando la sua insolvenza, evitandogli il fallimento.


Come?

A chi dice che l'esonero dal fallimento deve essere concesso dai Tribunali, si deve rispondere che non c'è tempo.

Il salvacondotto va decretato per legge (questo sembra l'auspicio anche di alcuni illuminati studiosi come Giuseppe Limitone https://blog.ilcaso.it/libreriaFile/1181.pdf e Stanislao Chimenti https://formiche.net/2020/03/aziende-italiane-insolvenza-covid-19/).

Perchè sia efficace, deve essere un rimedio automatico esteso a tutti in via immediata.

Non c'è tempo per analizzare caso per caso e stabilire chi è divenuto insolvente per causa del coronavirus, attribuendo questo potere di accertamento ai Tribunali.

Mi immagino il dibattito che ne scaturirebbe, analogo a quello stucchevole di questi giorni, quando ci si è interrogati sui motivi dei decessi, per stabilire se chi non ce l'ha fatta era già malato o era sano e così contabilizzare i morti "per" coronavirus rispetto a quelli "con" coronavirus.

Che importanza può avere stabilire se l'insolvenza sarà causata dal coronavirus o questo flagello sarà solo una concausa, decisiva o meno, rispetto a difficoltà preesistenti? Voler accertare lo stato di insolvenza in modo scrupoloso per evitare che non se ne approfitti qualcuno che già era in crisi o insolvente prima del coronavirus, quale utilità può avere in questo drammatico frangente?


Le soluzioni raffinate che si leggono in questi giorni sono per questa seconda soluzione perchè apparentemente più garantista. Solo una indagine accurata del giudice può stanare il furbetti del virus! Obiettivo di questi pensatori: evitare di concedere il salvacondotto a chi non lo merita.

A voler pensare sempre alle possibili storture, agli abusi nell'utilizzo di uno strumento utile (e urgente) come sarebbe l'esonero per legge dal fallimento e, dunque, a voler bloccare i furbetti, si finirà per bloccare il paese.

I giudici lo sappiamo come la vedono.

Si finirà per replicare quello che è accaduto per il piano del consumatore introdotto dalla legge 3/2012, che doveva essere la soluzione alla crisi dei consumatori e, data la dimensione del problema, una spinta per l'intera economia nazionale, doveva essere un'autostrada in cui veicolare la massa di chi non ce la fa più e vuole arrivare al casello della ripartenza (esdebitazione) e, invece, si è rivelato un vicolo stretto e impervio, che solo pochi temerari arrampicatori sono riusciti a percorrere con grande fatica.


Quando si è introdotta la legge 3/2012 in Italia l'aspettativa era che se ne facesse un uso generalizzato a favore della moltitudine di consumatori sovraindebitati per evitare loro l'usura e riportarli nel ciclo produttivo nell'interesse della collettività, oltre che nel loro interesse.

Come in modo virtuoso si è fatto in Germania, Francia e Stati Uniti, senza tanti freni e strettoie, con decine di migliaia di esdebitazioni all'anno.

Da noi no. Ostacoli ed eccessive prudenze hanno di fatto finito per affossare quella che poteva essere la via di salvezza per tanti e un bell'aiuto per l'economia nel suo complesso.


Purtroppo, spesso il diritto è lontano dai numeri.

Ma in questo caso è doveroso alzare lo sguardo dalle regole alla realtà.

Le imprese che rischiano di sparire sono un numero impressionante.

E' oltretutto contraddittorio e irragionevole dolersi di questo rischio, temere le chiusure aziendali e la perdita di migliaia posti di lavoro e, contemporaneamente, concentrarsi sulle ragioni e l'epoca di insorgenza dell'insolvenza.

Se su migliaia di aziende qualcuna ne approfitterà, pazienza!

Meglio avvantaggiare pochi, che penalizzare molti.


Il rimedio deve essere all'altezza del problema e i Tribunali non lo sono.

Prima di tutto per i tempi delle procedure, oltre che per gli organici.

Se è vero che nella gestione delle crisi aziendali (legge fallimentare), ma anche personali (legge 3/2012), il fattore tempo è la chiave del successo, ogni soluzione che allunghi i tempi è da vedere con sfavore.

I numeri dell'alluvione che sta per abbattersi sul nostro sistema economcio non consentono ritardi, non consentono raffinate distinzioni, non consentono lunghi accertamenti.

Richiedono solo comode autostrade per consentire al maggior numero possibile di aziende di puntare alla rinascita.


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