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Salviamo le aziende dal Coronavirus

  • Immagine del redattore: Avv. Massimo Cruciat
    Avv. Massimo Cruciat
  • 23 apr 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

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L'emergenza Coronavirus da crisi sanitaria si trasforma in grave crisi economica.

Il blocco imposto per limitare il contagio sta mettendo a dura prova l'economia reale del paese. Ci sono interi settori in ginocchio.

L'Italia è un paese meraviglioso. Natura, arte e cucina sono famosi nel mondo. Lo sa bene il settore del turismo. Alberghi, ristoranti, bar, stabilimenti balneari, ecc. hanno fatto fortuna con i turisti, che ora non ci sono più. E già si avvistano falchi senza scrupoli che avvicinano i proprietari delle strutture con proposte di subentro capestro.

In realtà, tutti i settori sono colpiti in modo trasversale, chi più, chi meno.

Chi in modo passeggero, chi purtroppo definitivamente.

Sopratutto le piccole imprese, gli artigiani i commercianti, che sono la maggioranza nel Paese, sono la sua vera ricchezza.

Che lo scenario sia nero lo dicono con chiarezza gli istituti di analisi e previsioni.

Cerved calcola un rischio default delle imprese italiane del 10%.

Secondo Svimez il Coronavirus causerà la più grave recessione economica dal dopoguerra.

Ma basta anche guardare fuori dalle nostre case per percepire la drammaticità del momento e di quello che ci aspetta.

Per cercare soluzioni e dare risposte si è aperto un ampio dibattito a tutti i livelli.

Istituzioni, imprese, associazioni di categoria, studiosi e, soprattutto, la politica cercano di individuare i migliori strumenti per arginare la crisi. Misure di sostengo di carattere giuridico, lavoristico, fiscale, alcune già adottate (Decreto cura Italia, Decreto Liquidità), altre in arrivo, anche a livello europeo.

In questo dibattito, la liquidità è di certo la protagonista assoluta.

In realtà, per ora più annunciata e promessa, che concretamente erogata.

Tutti la chiedono e tutti la offrono, come soluzione buona per tutti i casi.

E' proprio così?

Una precisazione molto banale, ma opportuna, è che la liquidità di cui si parla è rappresentata da finanziamenti (prestiti), sotto varie forme e tipologie, ossia liquidità che va restituita.

In altri termini, si deve parlare di debiti.

Nuovi debiti che le imprese assumono per tamponare le esigenze del momento.

Il blocco ha fermato il ciclo produttivo. Non si è più venduto e non si è più incassato. Ma i costi ci sono. Ecco allora la agognata liquidità per pagare affitti e bollette.

In altri Paesi si è intervenuti con denaro erogato a fondo perduto ossia senza necessità di restituzione. Veri e propri aiuti. In un certo senso, anche aiuti giusti. Se il bar sotto casa ha dovuto chiudere perchè lo Stato glielo ha imposto, le perdite generate nel periodo del fermo forzato, chi le deve sopportare? Il barista pagando il canone di locazione e le utenze grazie al prestito concesso (garantito) dallo Stato o lo Stato che quel blocco ha imposto, concedendo al barista un indennizzo a fondo perduto per coprire almeno in parte il buco? Perchè lo Stato non ha scelto questa strada di aiuto reale alle imprese? Non siamo in grado come sistema di assorbire le perdite e siamo costretti ad addossarle alla collettività cioè ai singoli?

Allo stato attuale, la scelta italiana è quella di “dare ossigeno” alle imprese sotto forma di denaro a prestito (che, come detto e si ripete a noia, va restituito), ma il punto vero è che questa liquidità non è un toccasana per tutti.

Per qualcuno non sarà che prendere tempo, senza possibilità alcuna di far fronte al debito, vecchio o nuovo che sia.

Se il Coronavirus ha colpito l'impresa al cuore, riducendo o eliminando la sua capacità di generare reddito (“ordini, clienti, posti di lavoro, relazioni internazionali e quote di mercato” sono il capitale che le imprese rischiano di “perdere in modo irreversibile” ha detto oggi Confindustria veneta con un appello al Governo alla riapertura immediata delle aziende, pur in sicurezza), i debiti più di qualcuno non riuscirà a ripagarli.

Ecco allora che le perdite alla fine saranno – di fatto già ora sono – poste a carico dei singoli.

Se questa è – a quanto pare – la situazione, il rimedio sempre i singoli lo dovranno trovare, con gli strumenti a disposizione: le procedure concorsuali.

Dopo che tutti gli strumenti approntati dallo Stato per tenere in vita le imprese saranno stati utilizzati, speriamo con successo dalla maggior parte delle imprese, per chi non avrà superato questo difficile momento non sarà detta l'ultima parola.

La legge fallimentare e la legge 3/2012 sul sovraindebitamento saranno le protagoniste nei prossimi mesi a tutela dei più sfortunati. Armi che non si vorrebbero utilizzare, e nemmeno nominare, ma che, come le terapie intensive che in queste settimane abbiamo imparato a conoscere, si rendono necessarie quando il malato è molto grave, se non moribondo.

Se dobbiamo gestire l'insolvenza da soli senza l'aiuto dello Stato, facciamolo nel modo più virtuoso, sfruttando le procedure negoziali per liquidare al meglio e, soprattutto, per salvare le nostre aziende.

Il Papa con grande lucidità ha detto nei giorni scorsi che non ci si salva da soli.

Questo è lo spirito che ci deve animare nella ricerca di risposte concrete all'insolvenza delle nostre imprese. Debitore e creditori devono ricercare la migliore sistemazione del debito nel reciproco interesse. Non si tratta di eliminare i debiti favorendo in apparenza il debitore.

Si tratta di accordarsi, di trovare il punto di equilibrio che accontenti tutti.

Il significato profondo, che soprattutto in un contesto di crisi incolpevole come questa va colto, è quello di un patto forte tra debitore e creditori, che devono fare i conti con la realtà del Coronavirus, che impedisce di adempiere oggi, ma che non impedisce di guardare al domani con fiducia.

Anzichè buttare tutto all'aria, salviamo il buono che c'è nelle imprese, pur se malate.

Non lasciamo che fallisca l'Italia intera con procedure liquidatorie, queste sì foriere solo di ingenti perdite per tutti.

Cerchiamo di ristrutturare i debiti con operazioni negoziali intelligenti, laddove possibile con salvataggio di aziende o rami produttivi sani, che se ancora redditivi possono e devono andare avanti.

I debiti sono il presente, si sistemano al meglio, ma l'impresa, la sua parte buona, è il futuro, facciamola sviluppare e crescere, magari diventerà più forte di prima.

La fantasia dei nostri imprenditori sarà il più efficace antidoto al virus della crisi economica, il migliore motore della ripartenza, anche se questa sarà dalla terapia intensiva.

E allora lo Stato come ci può assistere in questo difficile passaggio?

Può fare due semplici cose.

La prima (a costo zero). Rendere operativo da subito il nuovo Codice della Crisi nella parte riguardante le norme sul sovraindebitamento, così importanti per rispondere alle esigenze del ceto produttivo più debole, dei piccoli e piccolissimi imprenditori, e dei privati (e delle loro famiglie), che pure saranno toccati pesantemente dalla crisi.

La seconda. Organizzare per tempo i Tribunali investendo risorse in persone e strutture per essere pronti a gestire l'alluvione di procedure in arrivo. Arriveranno certamente. Lo sappiamo già oggi, lo sappiamo da tempo. Che a luglio non si dica siamo stati colti di sorpresa, non siamo preparati, dobbiamo organizzarci, ecc.. Facciamo tesoro di quello che è successo in campo sanitario, dove l'impreparazione è costata tanto.

La variabile tempo nelle ristrutturazioni aziendali è vitale.

Se lo Stato ha scelto di far ammalare le imprese, almeno che garantisca una cura efficace e tempestiva.

 
 
 

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